About

Stefano Allisiardi è nato il 4 luglio 1990. Dopo essersi diplomato presso il Liceo Artistico “Ego Bianchi” di Cuneo ha frequentato l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, laureandosi nel biennio specialistico in Incisione e Grafica d’Arte con il massimo dei voti, sotto la guida dei Professori Franco Fanelli e Daniele Gay nel 2016. Agli studi artistici ha affiancato quelli musicali, diplomandosi in Chitarra Classica presso il Conservatorio Ghedini di Cuneo nel 2013. 

Lavora principalmente sul disegno e pittura su carta, sulle tecniche calcografiche e litografiche. Ha esposto in collettive e personali in Italia e all’estero. 

 

Tornare a casa
Acquerelli, disegni e incisioni di Stefano Allisiardi
di Marcella Pralormo 

Stefano Allisiardi ci fa comprendere come l’acquerello possa essere una tecnica estremamente contemporanea. A una prima occhiata il formato dei suoi paesaggi ricorda certi dipinti ottocenteschi e riporta alla tradizione piemontese della pittura di paesaggio. Veniamo catapultati nelle nebbie della Provincia Granda, nei campi spogli dell’inverno, nei paesaggi del monregalese. Eppure la sensazione familiare incontra elementi inconsueti che invitano a guardare oltre. La tecnica della rolla, il mallo di noce, lucido e scivoloso, ci fa comprendere che la ricerca dell’artista esce dal canone tradizionale. Allisiardi cerca una pittura densa, sia nella forma che nella sostanza. Dal punto di vista tecnico intende innovare la pittura ad acquerello, che storicamente consiste nell’utilizzare il pigmento in maniera più o meno diluita con l’acqua e di sovrapporre strati di colore uno sull’altro dopo averlo fatto asciugare: è la tecnica delle velature. La rolla conferisce lucentezza e una pastosità scivolosa che ricorda la pittura ad olio e la consistenza del fango delle “bealere” che si incontrano nel cuneese. E’ dunque una tecnica che nasce dalla terra, racconta le origini dell’artista e porta la sostanza di quella terra sulla carta. Quello che ci colpisce è il messaggio potente che emerge e ci parla: solamente facendo pace con il luogo da cui veniamo possiamo realizzare pienamente noi stessi. Tornare a casa è un’azione necessaria, prima o poi. Guardando in profondità il nostro passato comprendiamo chi siamo e rendiamo chiara la direzione del nostro futuro.

Gli ultimi acquerelli ovali raffigurano fiori e arbusti che nascono dalla nebbia. Questi elementi naturali sono interrotti da un filo, rosso o di colore delle terre, che cattura il nostro sguardo e divide la composizione in due parti. Sotto c’è la terra: è l’invito a radicarci nella terra, a essere albero, arbusto e terriccio, ad abbracciare le nostre origini. Sopra c’è il cielo, gli insetti che volano, gli uccelli, le nuvole, gli astri. E’ la nostra parte spirituale, la ricerca di qualcosa di più grande sopra di noi. Su quel filo dipinto noi camminiamo come equilibristi in bilico tra la nostra ombra che sta lì sotto, fatta di china nera e di rolla, e la luce che sta in alto, cui aspiriamo. I fiori che appaiono in primo piano rappresentano lo sbocciare dell’essere umano: possiamo fiorire quando integriamo tutte queste nostre parti di ombra con quelle di luce. Questi acquerelli parlano del contrasto tra pieno e vuoto, tra luce e ombra, tra bianco e nero. Raccontano come il vuoto sia in fondo una pienezza di luce e di significato e non una mancanza. Il bianco assoluto, che in acquerello è il bianco del foglio, è la massima luce. Il nero-bruno della rolla e della china ci invita ad immergere il nostro sguardo per vedere che quello che in un primo momento non ci piace, in realtà, visto da vicino, è un grumo di terra che fa parte di noi e che possiamo sciogliere. Facendo pace con quell’ombra l’artista crea se stesso e la sua arte e, a nostra volta, creiamo noi stessi.

Questi dipinti ricordano certe tradizioni orientali come il Sumi-e, una tecnica che utilizza un inchiostro denso nero. L’Oriente è una suggestione che arriva e lascia spazio al ricordo di una storia personale e di una scuola piemontese dell’acquerello che ha radici nell’Ottocento, prosegue nel Novecento con i maestri Saroni, Soffiantino e Calandri, poi con Daniele Gay, il maestro di Allisiardi.

 

Nell’acquerello Allisiardi è libero di addentrarsi nella ricerca tra astratto e figurativo, che era quella di Saroni e di Soffiantino. Quando usa la china e l’incisione fa emergere la sua formazione di disegnatore e incisore figurativo che trae origine dalla tradizione piemontese di un Calandri, di un Saroni e, ancora prima, nelle incisioni ottocentesche e settecentesche, nelle ricognizioni sul territorio disegnate e incise del Theatrum Sabaudiae per Casa Savoia. Le incisioni e i disegni a china hanno in comune con l’acquerello la ricerca continua della luce. Il foglio bianco è la luce abbagliante, il nero delle linee tesse ragnatele e impalcature verso il cielo, costruisce certezze, equilibri, giochi di architetture. E’ come se l’artista avesse bisogno di questi lavori più costruiti nel dettaglio, per mettere ordine in se stesso, per stare al sicuro nelle linee ortogonali. Trovare la propria casa interiore, costruire edifici metaforici, questa è la ricerca del lavoro più grafico di Allisiardi. Qui noi ci riconosciamo, perché sebbene la fantasia e l’ignoto ci attraggano moltissimo, il certo, il sicuro, lo stabile, ci danno sicurezza.

I suoi primi lavori indagano i volti umani e sembrano interrogarsi sul tema dell’identità e sulla domanda esistenziale “ chi sono?”. Poi la ricerca si rivolge ai luoghi, e disegna edifici e paesaggi, interrogandosi su “ da dove vengo?”. Gli ultimi lavori raccontano dove Allisiardi stia andando: verso la luce, attraverso l’ombra, rimanendo ben attaccato alle sue radici e alla sua terra.

Allisiardi nasce come artista da quella tradizione dell’acquerello che si sviluppa in Piemonte nell’Ottocento, con figure di spicco come Bagetti e De Gubernatis, pittori di battaglie e di paesaggi, che si approcciano all’acquerello con un intento documentario per poi approdare a una tecnica e a soggetti più personali. L’acquerello dell’800 è una pittura rigorosa, che lascia poco spazio all’errore, all’acqua che corre e al colore che spande. E’ un acquerello in cui spesso viene aggiunta la tempera bianca per la descrizione di cieli con nuvole come fossero di zucchero filato.

Nel Novecento la tradizione continua, grazie agli insegnamenti di artisti che si formano all’Accademia Albertina e poi diventano docenti, come Giulio Casanova e Cesare Ferro Milone. Con loro l’acquerello viene utilizzato anche per studi di decorazioni e studi di scenografie, oltre che per la copia dal vero di frutta e fiori. Ferro Milone, grazie ai suoi soggiorni in Oriente, introduce anche l’elemento orientalista e lo studio degli interni. E’ verso la metà del Novecento che l’acquerello riacquista un certo peso nella tradizione piemontese e in Accademia Albertina. Sergio Saroni, Calandri, Soffiantino, riportano questa tecnica in auge. L’acquerello prende anche una deviazione verso la pittura astratta e informale. I docenti dell’Albertina praticano sia l’incisione che l’acquerello, alternando una ricerca sulla linea e sul tratto secco e preciso a una ricerca sul colore e sull’acqua. Saroni, Calandri e Soffiantino sono entrambi in questa direzione. Si incontrano sul lago d’Orta in casa Gianferrari per dipingere ad acquerello en plein air.

Daniele Gay, allievo di Saroni all’Accademia Albertina e oggi docente di tecniche dell’incisione e di acquerello, è stato il maestro di Allisiardi. Gay ha una tecnica che procede per sovrapposizioni di velature e uso del liquido che maschera, nella creazione di textures naturalistiche. L’uso di certi colori degli smalti e di una tecnica molto precisa fa anche pensare a certi paesaggi nordici. La raffinatezza di Daniele Gay diventa in Allisiardi una pittura più cerebrale e aperta verso l’informale, alla ricerca del cogliere l’essenza della natura. Allisiardi è figlio della tradizione piemontese, anche lui si dedica molto all’incisione, all’acquaforte, al disegno a china con cui traccia edifici reali o immaginari e figure che emergono dalla sua immaginazione. Il nero della china lo sollecita, come se fosse un buio vuoto in realtà estremamente pieno perché ricco di abitanti di questa zona d’ombra. Come Calandri e Saroni alterna acquerello e incisione. Certi paesaggi di Saroni, con questi alberi aggrovigliati sul ciglio della strada ritornano anche in Allisiardi, con uno stile decisamente più disteso, senza quel tormento che pare abbia accompagnato Saroni, nel corso della sua carriera artistica. Allisiardi ha fatto pace con le sue origini e cavalca l’onda del presente nella maniera equilibrata che gli permette di dialogare con il contemporaneo e di entrare in contatto con noi spettatori, perché le sue opere ci parlano profondamente della nostra storia. 

Marcella Pralormo, dicembre 2022-gennaio 2023